Artículo de Paolo Brogi sobre el Proceso Condor y el Dr. Barudy

Un medico rivela che il “desaparecido” Omar Venturelli fu portato alla base aerea di Maquehue. Da lì partivano i primi voli della morte nel 1973…A Roma sotto accusa Ramirez Ramirez e Arellano Starck.  Jorge Barudy Labrin è un medico scampato agli orrori della dittatura cilena di Pinochet. Fatto prigioniero in quel settembre del 1973, torturato, testimone di torture sui suoi compagni, è anche l’ultimo ad aver visto vivo Omar Venturelli, l’ex sacerdote legato al Mir che il 4 ottobre del 1973 fu fatto “uscire” dal carcere di Temuco, nel sud del paese, e da quel momento “desaparecido”.

Omar  Venturelli, trentunenne di origini italiane (la famiglia era di Pavullo nel modenese), è una delle vittime di cui devono rispondere nel Processo Condor che si celebra a Roma davanti alla III Corte d’Assise i militari golpisti colpevoli di una lunga catena di omicidi.

Nell’udienza del 25 febbraio 2016 la Corte ha dunque ascoltato alcuni testi cileni su Omar Venturelli. Col primo, Pablo Berchenko, esule in Francia e professore universitario, sono stati rimessi a fuoco i due bandi con i quali subito dopo il golpe i militari imposero a una lunga lista di “ricercati” di presentarsi alle caserme annunciando nel caso che si verificassero resistenze rappresaglie sugli stessi detenuti già in carcere con un rapporto di dieci fucilati per ogni eventuale vittima tra i militari. Bandi dal tono e dai metodi nazisti, firmati dal governatore militare Hernan Ramirez Ramirez, uno degli imputati del processo in corso…

Ma è stato poi con Jorge Barudy Labrin, compagno di cella per oltre una dozzina di giorni con Omar Venturelli, fino alla notte tra il 3 e il 4 ottobre quando a Omar fu fatto fare fagotto e fu portato via per non riapparire mai più, che il processo si è arricchito di ulteriori novità.Una in particolare: Barudy ha riferito che qualche giorno dopo la separazione da Venturelli arrivò in carcere a Temuco un prigion ero proveniente dalla base aerea di Maquehue – poco distante dal carcere di Temuco -, usata come luogo di tortura e di eliminazione dei detenuti. Il prigioniero riferì di aver ascoltato mentre era bendato un uomo che si lamentava e che diceva: “Io sono Omar Venturelli, sono il padre di Pacita (la figlia di 3 anni allora, ndr), sto molto male, mi uccideranno…”.,

Perché è importante questa testimonianza?

Perché a quella base aerea faceva capo la Carovana della morte, la spedizione aerea di militari assassini che stava girando il paese a bordo di elicotteri per impartire ordini di tortura e di eliminazione. A guidarla era Arellano Stark.

Con quella carovana giunta a Temuco il 4 ottobre la repressione diventò assai più violenta di prima, si accelerò, si moltiplicarono le torture e le eliminazioni. Soprattutto nei confronti di militanti del Mir, l’organizzazione più a sinistra del panorama politico di Unità Popolare, considerati  dai golpisti come i primi da abbattere.

Omar Venturelli fu eliminato a Maquehue? Probabilmente sì, e forse il suo corpo è stato gettato poi in mare da uno degli elicotteri di Starck, un sistema inventato dai golpisti cileni e in seguito perfezionato da quelli argentini.

Barudy ha ricordato di essere stato portato a Temuco da Puerto Saavedra dove lavorava, in un ospedale sulla costa. Il 17 settembre ha visto per la prima volta Omar Venturelli nell’hangar in cui i militari riunivano i prigionieri. Appariva molto malconcio, pieno di ematomi, camminava a stento, Barudy e altri tre medici detenuti lo visitarono. In seguito Venturelli raccontò che l’avevano torturato per più giorni, applicandogli l’elettricità.

Barudy ha ripreso oggi alcuni punti che aveva già espresso nell’istruttoria:

“Ho riconosciuto Venturelli che era un uomo noto. Anche a me era successa la stessa cosa, la tortura con l’elettricità. Quando Omar Venturelli si tolse le scarpe, gli ho guardato i piedi, gli avevano strappato delle unghie, aveva delle lesioni nei piedi, con i pochi mezzi che avevamo a disposizione gli ho curato i piedi. Ero riuscito a far entrare in carcere un po’ di medicine per il dolore e anche degli ansiolitici, e allora glieli ho dati perché ho ritenuto che fosse molto scosso e allo stesso tempo gli ho offerto di condividere con me un materasso che avevo io, mio padre era giurista, era riuscito a far entrare nel carcere un materasso, ero il solo ad avere il materasso e allora ho offerto ad Omar Venturelli di condividere con me il materasso, perciò abbiamo costruito un rapporto di grande amicizia e ci sorreggevamo a vicenda, e allo stesso tempo con lui ed altri avevamo organizzato un piccolo comitato per offrire appoggio psicologico agli altri prigionieri, che consisteva nell’organizzare delle liturgie, delle cerimonie collettive di preghiera, leggere i Vangeli, leggevamo la parte del Vangelo che aveva a che fare con ciò in cui noi credevamo, nel tempo che abbiamo trascorso insieme avevamo creato un’amicizia molto profonda perché cercavamo di aiutare gli altri, e allora ho avuto modo di conoscere la sua grande qualità umana, ho saputo che come prete aveva lavorato aiutando gli indigeni mapuche, mi raccontò che si era innamorato di una donna e per la prima volta ho sentito il nome Fresia, e mi raccontò che aveva una figlia che si chiamava Pacita, che la bambina aveva la stessa età del mio figlio più grande… Omar mi raccontò le sue paure, riguardavano il fatto che lui aveva riconosciuto che una delle persone che avevano avuto responsabilità nella repressione era un signore il cui cognome era Podlech, che io non conoscevo, non avevo mai sentito parlare di lui, perché io sono arrivato in quella zona nel 1973, pertanto non ero al corrente di chi fosse chi, e mi raccontò che questo signore Podlech apparteneva a un movimento di estrema destra chiamato Patria y Libertad, e che esercitava o che aveva a che fare in quel momento con la procura. Omar pensava che questo signore, il signor Podlech, aveva un profondo odio soprattutto per tutti coloro come preti, medici, professionisti, professori che erano a fianco dei più poveri e non di coloro che erano più potenti e facoltosi…”.

Oggi Barudy ha aggiunto: “Facemmo un patto, se uno di noi due fosse morto l’altro avrebbe cercato di dare una mano alla sua famiglia. Entrambi avevamo bambini piccoli. Comunicavano con l’esterno attraverso i detenuti comuni che facevano gli spazzini, appallottolavamo pezzi di carta e glieli gettavamo, loro li facevano avere ai nostri parenti che come mio padre venivano alle porte del carcere ogni giorno. Così ho avvertito mio padre anche di quella segnalazione su Maquehue. E lui è andato subito dal vescovo Piñera, ma quello gli disse che non poteva far niente per Venturelli perché era “fuori della Chiesa”…”.

Barudy ha anche parlato di quella ultima notte in cui ha visto partire Venturelli. “Stavamo in genere alzati fino alle due di notte, il momento in cui spegnevano le luci. Se entro quell’ora non era successo niente potevamo andare a cercare un po’ di sonno…Quella notte, poco prima delle due, sono arrivati nell’hangar, hanno acceso tutte le luci e hanno gridato a Venturelli: “Prendi le tue cose e vieni”. Sapevamo che quando uno usciva non tornava mai più. Omar mi ha guardato, io gli ho fatto un gesto di saluto…”.

Oggi Barudy si è commosso mentre raccontava queste cose, per un attimo si è interrotto, l’emozione anche dopo 40 anni è stata assai forte.

Riuscirà questo processo a restituire un minimo di giustizia a queste vittime condannando personaggi come Hernan Ramirez Ramirez o Arellano Starck che vivono tranquillamente nel paese che un tempo hanno devastato così profondamente?